Decisione delle federazioni sindacali
Le federazioni sindacali affiliate a Cgil e Uil hanno deciso di non siglare il rinnovo del contratto per i dipendenti dei ministeri e degli enti economici statali. Tale scelta è stata compiuta al fine di intensificare il dialogo con il Governo e mantenere un clima di alta tensione in vista dello sciopero generale previsto per il 29 novembre. Per i lavoratori pubblici, l’impatto di questa decisione risulta limitato, poiché il contratto, che prevede un aumento salariale medio di 165 euro, il pagamento dei buoni pasto anche durante le assenze e un arretrato di 850 euro come completamento di un anticipo erogato nel dicembre 2023, entrerà comunque in vigore grazie alla firma della maggioranza dei sindacati rappresentativi.
Motivazione dietro il mancato accordo
La motivazione principale per il rifiuto di firmare riguarda la discrepanza tra l’incremento salariale del 6% e la crescita dell’inflazione, che ha superato il 10% nel periodo in questione. Va considerato il parziale recupero già realizzato con il rinnovo del biennio precedente, pari al 4%, e l’allocazione prevista nella Legge di bilancio 2025, che destina ulteriori 5,5 miliardi per il rinnovo del contratto nel prossimo biennio. La legge prevede anche un rafforzamento strutturale dell’agevolazione contributiva, che ha avuto un impatto positivo sui salari lordi fino a 40 mila euro annui per i lavoratori dipendenti.
Riflessioni sulle politiche salariali
Si rende necessario riflettere, in particolare tra le parti sociali, sul motivo per cui lo Stato debba continuamente intervenire a favore delle imprese private per proteggere i salari reali. Ciò ha spinto alla spesa pubblica crescente, aumentando la pressione fiscale sui redditi della classe media, prevalentemente composta da lavoratori dipendenti e pensionati. Negli ultimi anni, la spesa pubblica italiana ha costantemente avuto l’obiettivo di supportare i redditi più bassi, ottenendo risultati spesso contrari agli obiettivi prefissati.
Situazione economica in Italia
L’efficacia del sistema redistributivo di un Paese sviluppato dipende da variabili come la popolazione attiva che contribuisce alla generazione del reddito e dalla crescita della produttività. In Italia, queste due componenti mostrano segnali di debolezza, dovuti a un basso tasso di occupazione e alla stagnazione della produttività, che ostacola la crescita dei salari reali.
Critiche alla classe politica e alle parti sociali
Le risorse pubbliche sono spesso utilizzate in maniera inefficace a causa delle decisioni della classe politica e delle rivendicazioni delle parti sociali. L’Italia, nel contesto dei Paesi sviluppati, presenta un paradosso: nonostante l’alto livello di contrattazione collettiva per salari e condizioni di lavoro, si registra una riduzione del potere d’acquisto dei salari. Questa dinamica è stata frequentemente segnalata dai sindacati, ma non ha generato un vero confronto tra le rappresentanze sindacali e quelle datoriali per riformare il sistema di contrattazione verso obiettivi che favoriscano l’incremento dei salari legato alla produttività.
Si evidenzia la necessità di aumentare gli investimenti nella formazione delle risorse umane, considerando le difficoltà delle aziende nel trovare lavoratori con profili adeguati alle esigenze del mercato del lavoro.