Il regista ha presentato alla Mostra del Cinema di Venezia il film ‘L’orto americano’, che racconta la vicenda di un protagonista in cura presso un ospedale psichiatrico, il quale sostiene di comunicare con i morti.
07 settembre 2024 | 15.35
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Pupi Avati ha affermato: “Non mi sono mai allontanato dal genere gotico, che in Italia dovrebbe ricevere maggiore attenzione”. Il suo film, che chiude l’edizione di quest’anno della Mostra, uscirà nel 2025 tramite 01 Distribution. Si tratta di un horror gotico con protagonisti Filippo Scotti, Roberto De Francesco, Armando De Ceccon e Chiara Caselli, ambientato a Bologna durante il periodo della Liberazione, dove un giovane aspirante scrittore si innamora follemente di una bellissima infermiera dell’esercito americano.
Il regista continua: “Il protagonista è in un ospedale psichiatrico perché parla con i morti. Questo elemento ha una connessione personale, poiché l’atto di richiamare a sé coloro che non ci sono più è qualcosa che pratico ogni sera prima di dormire”. Parlando delle influenze cinematografiche, Avati osserva: “Il mio film è intriso di citazioni del cinema americano degli anni ’40, spero che i critici riescano a riconoscerle, da Hitchcock in poi. Ho scelto di utilizzare il bianco e nero e ho l’impressione che questo lavoro abbia una vocazione popolare attraverso la narrazione”.
In merito alla Mostra di Venezia, il regista ricorda: “Ho bei ricordi di Una gita scolastica (1983) e di diversi altri momenti significativi legati a questo festival”. Avati menziona anche i numerosi “casi umani” presenti nel film, tra cui il personaggio interpretato da Caterina Caselli. Quest’ultima ha commentato con umorismo: “È la terza volta che recito con Pupi, una conferma di un legame speciale costruito nel tempo. Avati è un regista che supporta attivamente gli attori”.
‘L’orto americano’ affronta tematiche complesse, inclusa la rappresentazione di donne vulnerabili e il concetto di morte. “Non ho inventato nulla di nuovo; la realtà spesso supera la fantasia”. Avati esprime inoltre il proprio interesse per la parte psicologica dei personaggi e sottolinea la solitudine del protagonista. “C’è molto di mio in questo personaggio. Anche io ho vissuto un grande complesso d’inferiorità, e la mia esperienza si riflette in questa figura solitaria”, conclude. Richiama l’importanza di educare le nuove generazioni a sognare e mantenere viva l’ingenuità nei rapporti affettivi, senza lasciare che l’amore diventi un mero assillo.