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“L’unico rimpianto è non aver potuto fare qualcosa per lei”
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“L’unico rimpianto è non avere potuto intervenire per salvare Sharon. Se fossimo stati più vicini al luogo del crimine, forse avremmo potuto farlo”. Queste le parole di due giovani italiani di origine marocchina, i quali, grazie alla loro testimonianza, hanno fornito un contributo significativo per identificare Moussa Sangare, l’assassino reo confesso di Sharon Verzeni. Durante l’intervista, hanno raccontato ai carabinieri di un uomo di origine africana in bicicletta, avvistato la notte dell’omicidio.
“Quella sera ci stavamo allenando per importanti competizioni sportive – hanno spiegato – Era intorno a mezzanotte, ci trovavamo a Chignolo, vicino a una farmacia e di fronte al cimitero dove ci siamo fermati per esercitarci. In quel momento, due nordafricani in bicicletta sono passati, seguiti da un terzo. Uno di loro ci ha colpito, appariva differente, indossava una bandana e un cappellino, oltre a uno zaino e occhiali. Ci ha fissato a lungo e ha fatto una smorfia”.
“Quando siamo stati convocati in caserma, abbiamo raccontato di quel soggetto. Siamo rimasti sorpresi, non avremmo mai immaginato che potesse essere l’assassino – hanno aggiunto – In ogni caso, si notava che era una persona instabile. Abbiamo provato grande sollievo sapendo di aver contribuito all’identificazione del colpevole. Il nostro rimpianto, tuttavia, è di non essere stati in grado di salvare Sharon, di non essere stati più vicini a via Castegnate. Forse l’assassino ha visto in lei una preda facile, e ci ha solo guardati male per poi proseguire”.
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