Il mondo del cinema internazionale ha subito una grande perdita con la scomparsa di Philippe Leroy, attore francese noto per le sue interpretazioni indimenticabili sul grande schermo. Leroy, nato a Parigi nel 1930, è deceduto all’età di 93 anni, lasciando un’eredità cinematografica significativa.
una carriera straordinaria
Philippe Leroy, nato a Parigi, ha lasciato la Francia in giovane età per vivere esperienze avventurose in giro per il mondo. Dopo essersi arruolato nella Legione Straniera e lavorato come mozzo su una nave per l’America a 17 anni, ha iniziato la sua carriera cinematografica a 30 anni con il film Il buco di Jacques Becker.
gli inizi e il legame con l’Italia
Dopo diversi anni trascorsi in Algeria, Leroy ha sviluppato un duraturo legame con l’Italia. Trasferitosi a Roma negli anni ’60, ha recitato in numerose co-produzioni italo-francesi. Ruoli memorabili come Yanez De Gomera in Sandokan di Sergio Sollima e Leonardo Da Vinci in La vita di Leonardo da Vinci di Renato Castellani hanno cementato la sua popolarità tra il pubblico italiano.
un attore poliedrico
Leroy ha partecipato a oltre 200 titoli tra film e sceneggiati televisivi, collaborando con registi del calibro di Godard, Comencini, Zampa e Besson. Le sue interpretazioni coprivano un’ampia gamma di generi, dal poliziesco al dramma, come il vescovo nella serie Don Matteo accanto a Terence Hill.
una passione per il paracadutismo
Oltre alla sua carriera nel mondo dello spettacolo, Leroy ha nutrito una grande passione per il paracadutismo. Ha ripreso questa attività a 50 anni, dopo una breve esperienza giovanile, e l’ha coltivata fino a oltre 80 anni, totalizzando più di 2000 lanci. Affiliato al reparto paracadutismo della SS Lazio, ha mostrato un coraggio e una determinazione che hanno ispirato molti.
un uomo dalle molteplici passioni
Philippe Leroy non era solo un attore di talento, ma anche un grande lettore, poeta e disegnatore di mobili. Custodiva con orgoglio le sue creazioni in legno e dichiarava con fierezza:
«Ho costruito con le mie mani cinque case. Nell’ultima, un borgo incantato sulla via Cassia in cui ho vissuto con mia moglie Silvia e con la mia famiglia, non c’è un pezzo di plastica, ma tutti mobili e oggetti in legno che ho lavorato, pezzo a pezzo. Come la mia vita…”.