Il tragico destino di Sara Buratin, una donna di 41 anni, ha sconvolto l’opinione pubblica dopo che è stata brutalmente assassinata dal suo compagno, Alberto Pittarello. Quest’ultimo, non riuscendo a superare la fine della loro relazione, ha deciso di porre fine non solo alla vita della donna ma anche alla sua, gettandosi nelle acque del fiume Bacchiglione con il suo furgone. L’autopsia eseguita sul corpo di Sara ha rivelato dettagli sconcertanti riguardo alla modalità e alla ferocia dell’attacco subito, smentendo le ipotesi iniziali e mostrando una realtà ancora più tragica.
scoperte rivelate dall’autopsia
Le indagini preliminari avevano ipotizzato che Sara fosse stata uccisa con circa 20 coltellate. L’esito dell’autopsia ha rivelato una verità ben più grave: il corpo della donna presentava circa 50 ferite inferte con estrema violenza. Questi attacchi non si sono limitati a colpire la vittima mentre era in vita, ma sono proseguiti anche dopo la sua morte, evidenziando un’efferatezza senza limiti da parte dell’aggressore.
Oltre ad aver raggiunto zone critiche come la nuca e il cranio, questi colpi hanno lasciato segni profondi anche sul resto del corpo, dimostrando un atto di inaudita crudeltà. Il dettaglio più scioccante è stata la forza di uno di questi colpi, abbastanza potente da penetrare l’osso cranico della donna. La scena del ritrovamento del corpo di Sara, fatta dalla madre, ha scosso profondamente la comunità, lasciando un segno indelebile nel ricordo di chi ha avuto modo di conoscere questa storia.
Il caso di Sara Buratin non solo ha messo in luce la tragica fine di una vita spezzata ma ha anche sollevato questioni importanti su come gestire e prevenire i fenomeni di violenza domestica, invitando a una riflessione profonda sulla necessità di proteggere le vittime e prevenire atti di tale barbarie.