Dollaro e tassi USA: come le banche centrali impattano sul forex

Le banche centrali negli ultimi anni hanno giocato un ruolo sempre più intenso nella politica monetarie internazionali, non solo a casa nostra, nella zona euro, ma in tutto il pianeta. Se la BCE (Banca centrale Europea) con a capo Mario draghi hanno deciso di varare una politica che serve a dare gli stimoli ad una economia anemica, non in grado di rimettersi in marcia dopo la crisi economica innescata dello scandalo dei mutui subprime nel 2007.

A distanza di quasi dieci anni da quella data, le banche centrali hanno attivato tutti gli strumenti disponibili per affrettare la ripresa economica. Lo abbiamo notato sopratutto con il cambio di valute, chi segue glia aggiornamenti su piattaforme come iForex, si sarà accorto che ad esempio il cambio euro/dollaro abbia subito una forte volatilità, cioè una forte variazione dei prezzi nel breve periodo. E’ stata la banca centrale Americana, la Federal Reserve, che anni fa ha avviato il QE (Quantitative Easing) cioè un abbassamento del costo del denaro, mettendo i tassi a livello mai visti fino a quel momento. Una situazione d’oro per chi decideva di prendere in prestito grandi quantità di denaro ad un tasso d’interesse molto vantaggio.  Ne hanno tratto vantaggio sopratutto le grandi banche d’investimento che hanno avuto ottimi rendimenti sull’azionario a partire dal 2009 fino al 2014.

A seguito della situazione stagnate e al perdurare della crisi economica in Europa, anche la BCE ha provveduto ad attivare un meccanismo simile, che ha visto abbassarsi il costo del denaro con una svalutazione dell’euro rispetto al dollaro. Se nel 2012 il cambio EURO/DOLLARO era attorno a 1.40, cioè servivano  1.40 Dollari per comprare 1 Euro, adesso siamo a 1.10, come si può osservare sul grafico del cross di valute di iForex,  negli anni

Si tratta di prezzi che vengono decisi da scelte politiche, più inerenti alla analisi fondamentale che all’analisi tecnica, una situazione che favorisce le “mani forti” e i gradi speculatori, Morgan Stanley più che il piccolo trader, che però può mettersi in coda al trend e comunque giovarsi di questi movimenti.

Intanto la Fed ha annunciato di avere abbastanza conferme dall’economia per procedere senza più tentennamenti al rialzo dei tassi. L’appuntamento è per la prossima riunione del Fomc, il comitato di politica monetaria della banca centrale Usa, a dicembre. I buoni dati di oggi sull’occupazione in Usa, con la crescita sia dei posti di lavoro che delle retribuzioni, fotografano una crescita robusta in grado di sostenere un rincaro del costo del denaro. Il dollaro si è indebolito nei confronti dell’euro, passando in settimana da 1,098 a 1,112 (-1,2%).

STERLINA E BREXIT.
Come se l’incubo Trump da solo non bastasse, in settimana sono arrivate nuove incertezze sullo scenario del dopo Brexit, in seguito alla decisione dell’Alta corte di Londra secondo la quale il governo inglese non può avviare il negoziato per l’uscita dalla Ue senza un voto del Parlamento.  Da qui il forte apprezzamento della sterlina, che nei confronti del dollaro si è rafforzata in cinque sedute del 2,7% (da 1,218 a 1,252).