• Libro: Into The Wild, Jon Krakauer, 1996.
• Film: Into The Wild, adattato e diretto da Sean Penn, 2007.
Ci sarebbe da citare Antoine de Saint-Exupéry con il sentimento della continua insoddisfazione e la ricerca di un sogno illusorio, con l’incompiutezza della vita, accompagnata dal paradosso della realizzazione effimera delle aspirazioni: “Addio”, disse la volpe. “Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”. Nel teatro stanzone del mio giardino il filmato è corroso dalle sensazioni di de-jà vu che il protagonista del film trasporta: la storia è vera. Un vero ragazzo nel 1992 ha perso la vita cercando la sua Alaska, all’età di ventitrè anni, e la fotografia alla fine del film ne è una testimonianza. Inoltre non ci sono che continui rimandi testuali alla storia scritta da chi ne ha recepito il senso, che se non fosse realmente stato subito ciecamente dal protagonista avrebbe comunque un valore pedagogico.
Chi donerebbe ventiquattromila dollari invece di studiare, vivere, chi rifiuterebbe un’automobile nuova e scapperebbe, solitario, alla volta dell’ignoto? Forse un po’ tutti, ma qui dobbiamo essere leali con chi si sedimenta nella socialità delle relazioni umane e quindi sostenere la famiglia e il bene sudato e meritato. Non farlo significa dare senso all’animalità umana che tende più alla solitudine (anche se con un orologio d’oro al polso è un po’ difficile chiedere e elemosinare un pezzo di pane, ma il protagonista del film ci riesce) che alla lotta comune.
Il mondo prima razionale e poi amazzonico che il giovane laureato si trova a scegliere è una metafora morta da tempo, ma una serata fumosa può essere sopportata, fino all’ultimo soffio di realtà prefilmica che appare come la nostra stessa vita. Il film rende il reportage come una specie di parodia alla memoria del protagonista, mentre il narratore è intradiegetico (è la sorellina del giovane avventuriero) che fa muovere il fratello un po’ come vogliono i genitori, ma che non può toccarne più i movimenti, giacché lui taglia completamente i rapporti non soltanto con i parenti, ma anche con la sua confidente dell’infanzia.
L’intero film è supportato da filetti che appaiono tra una scena e l’altra, o in ordine sparso, con le parole che descrivono il viaggio del protagonista. Una sorta di lavagna digitalizzata a mo’ di diario di bordo da condividere con il pubblico, murales immediati dei pensieri che vanno a scavare nella mente dello spettatore e a riattirarne l’attenzione.