Il legame tra società e arte

L’arte del Novecento è una risposta al dramma sociale, al cambiamento, conseguenza della coscienza dell’artista e dell’esperienza. La risposta modernista di Picasso permette di costituire un equilibrio sociale, con l’esplosione del dramma della guerra anche nella pittura. Il museo senza pareti prospettato da Duchamp, come nella “Scatola-in-valigia” rimette in gioco il readymade come anima non solo dell’opera ma dell’artista stesso. La visione ha diverse modalità di agire, mostrando il suo funzionamento attraverso la rielaborazione, anche dalla prospettiva del soggetto, della materia sulla quale lavora che ne porta in luce la complessità. Il Grande vetro di Duchamp è una risposta al modernismo, un rifiuto che permette la riflessione e la composizione di un mondo inconscio, portando lo spettatore oltre la struttura dell’opera. L’idea di un puro formalismo si perde nella deformazione che dall’autore arriva al gusto del pubblico. Il residuo è immanenza: l’informe diventa un’operazione dialettica che permette di dare forma, contemporaneamente, all’assoluto e all’entropia.

 

Nella visione di Bataille l’informe è ritrovabile in Malevic e in Mondrian. Lo sprofondamento e l’accumulazione sono forme di dispiegamento della scrittura e della pittura. Nel passaggio dalla cultura come forma estetica alla cultura documentata attraverso le opere, lo slittamento che si evince dalle tele e dagli studi sul colore coopera a rendere un’artificialità degli elementi naturali. Un esempio è quello del Situazionismo di Klein: il Vuoto è un simulacro di operazioni che possono avvenire soltanto nell’occhio dello spettatore. La natura duplice dell’arte informale, da un lato struttura e dall’altro funzione extraplastica del soggetto messo in forma nell’opera, pone il conflitto sull’informe. I modi attraverso i quali le immagini delle arti plastiche giocano con il segno grafico sono declinati nei livelli di attuazione dell’idea dell’artista.

Il limite dell’informe non è la struttura bensì il suggellamento dell’unione tra l’azione dell’inconscio e la figurazione, messa in atto dall’opera. Nelle arti plastiche, durante il novecento, i processi di differenziazione e di sintonia tra l’arte e la vita hanno modificato il modo di considerarne i modi di attuazione. Brodskij nel 1930 dipinge Lenin all’istituto Smol’ nyi dichiarando che non si trattava del risultato di una proiezione della fotografia, bensì del frutto di diverse fasi del lavoro con schizzi preparatori. Schapiro pone la domanda sull’arte astratta come protagonista copartecipe del contesto storico. Tuttavia, la prospettiva dell’opera non è solo quella della forma astratta ma quella funzionale alla natura deformata dalla sintesi plastica. Johns afferma che nessun artista determina la propria opera fino in fondo: il compimento immanente, dato dallo sguardo della persona, è la delineazione stessa dei parametri possibili.

A distanza di pochi decenni, nel 1974, Bürger affronta in modo diretto il problema dell’integrazione tra arte e società, per pensare a un antiestetismo non utopico. Le strategie degli avanguardisti sono esplicite quando considerano gli aspetti relativi alla società. Un problema che affrontano è quello della concezione del pubblico, nel senso in cui interviene il suo giudizio e quale sia quello specifico. L’ideale auspicato è un rovesciamento dello sguardo borghese sul rapporto tra il valore di scambio e l’uso estetico. Il fine della strategia teorica e pratica degli avanguardisti è quello di porre attenzione alla sfera pubblica proletaria. Il conflitto interno irrisolvibile, emerso con l’arte astratta, si ripropone nelle Neoavanguardie, con la multidimensionalità dei readymade, accanto alla pittura e al collage.

1. Marcel Duchamp

Nel Grande Vetro (La Mariée mise à nu par ses célibataires), opera alla quale Marcel Duchamp dedicò quasi un decennio (1915-1923), il rapporto esistente tra pensiero e opera è fondamento del suo significato. La trasparenza del ready-made è tale fin dal primo sguardo su di essa: è inserita come parte dell’opera per riflettere lo stato del pensiero alla coscienza. Ci sono almeno due elementi che si evincono dall’operazione progettuale di Duchamp: il primo è quello della prospettiva classica degli oggetti proiettati, il secondo è dato dall’insieme di impressioni che regnano all’interno della scatola ottica.

Lyotard ho congiunto la prospettiva e le condizioni di impressione della scatola ottica con la visuale carnale del Grande Vetro. Gli elementi di continuità coesistono con le trasmissioni nervose del cervello metaforizzate dal palo del telegrafo che si trova appeso all’Apparato Celibe. In tal senso l’interrogativo posto nell’osservare l’opera è la poiesi dell’opera. A partire dalla costituzione del complesso attraverso i Setacci, i testimoni oculisti con il loro nastro di specchio e i Pistoni di corrente d’aria con i loro contorni deformati, l’intero formalismo diventa una zona intermedia tra il senso ipotizzato e la multidimensionalità data dalla presenza della Sposa. Il significato non è rapportabile a un unico complesso di insiemi da rielaborare: l’intero è uno specchio della forma bidimensionale di ciascuna parte del Grande Vetro. La diagrammaticità della forma diventa il linguaggio stesso dell’immagine che Duchamp presenta come una serie di schemi, in primis rappresentati graficamente. Dalla forma bidimensionale a quella della messa in funzione del macchinario, l’operazionalità rimane immutata, mentre aumenta la sostanza immanente nella struttura.

In Tu ‘m (1918) Duchamp pone in risalto la relazione esistente tra la bidimensionalità della superficie pittorica che si manifesta come un banco di lavoro e la metarappresentabilità della prospettiva e del punto di vista. L’occhio umano pone interrogativi all’opera, nel senso in cui è l’opera stessa che interroga lo spettatore. Nel momento in cui Rauschenberg riprende il tema della bidimensionalità, negli anni sessanta, la sintesi formulata dalla prima elaborazione duchampiana assume caratteri determinati in termini di analiticità. Tale analisi, oggetto della dinamica esistente tra il colore e la forma geometrica, non detiene soltanto caratteri formali ma supera la progettualità iniziale.

La polisemia insiste sui momenti di riflessione, come nelle serigrafie che mirano a riprodurre la logica emozionale dell’opera. Il passaggio, condensato dallo sguardo, mira a ribaltare il rapporto tra il fruitore e l’artista. La creatività non è concentrata nella logica del concetto dato dall’artista ma si annida nell’insieme di stimoli che l’occhio umano allinea al dominio del significato. In assenza di un senso ultimo, l’oggetto della strategia dell’opera è una distruzione delle forme come mezzi per arrivare a un altro compimento: sono le linee e le geometrie che premono sull’espressione.

2. Le origini dell’Avanguardia

Nelle Avanguardie si compie l’integrazione tra l’uso estetico e il valore di scambio. Al fine di non diventare un’utopia, la Teoria dell’Avanguardia di Bürger delinea la realtà di trasformazione della ricezione attraverso le tre fasi. Il periodo di tempo che comprende almeno tre modi diversi di guardare alle innovazioni apportate, è tale da non poter ridurre a un unicum l’intero processo di sviluppo dell’arte. Cubismo, Futurismo, Espressionismo, Dadaismo e Surrealismo sono le principali correnti che afferiscono a quel flusso definito dalla Teoria dell’Avanguardia. Il superamento dell’arte, come è tipico del concetto alla base dei readymade, ossia di quel détournemet che ispira il Situazionismo, si insedia nell’ultima avanguardia storica. L’abbandono della visione tradizionale dell’arte è accompagnata da una maniera diversa di concepire l’artista.

Realizzare l’arte significa, dal punto di vista dell’Internazionale Situazionista, rinunciare all’etichetta che fino alle prime avanguardie caratterizzò il clima socio-culturale dell’epoca precedente. Il primo aspetto innovativo è la popolarità e l’integrazione con i valori sociali del proletariato. Tale prospettiva convalida la necessità di un riduzionismo dell’aspetto fino a quel momento più ovvio, ossia dello spettacolo.

Per i situazionisti il rapporto esistente tra la comunicazione e lo stato è inversamente proporzionale, nel senso in cui là dove c’è comunicazione non c’è Stato. La poesia è una vera e propria rivoluzione: a parere dei situazionisti, per realizzare la teoria è necessario il dialogo.

La possibilità di tale processo di comunicazione è legata al superamento della violenza subita, dalle forze che agiscono attraverso lo stato. Nella visione situazionista lo stato è opposto all’arte. Il problema che si pone è quello della dinamica di forze che si estrinsecano tra immagine e parola. In un certo senso lo sperimentalismo si manifesta come contaminazione di generi diversi. A sostegno di una tesi che non permetta la coincidenza tra stato e innovazione, l’Internazionale Situazionista collabora alla decontestualizzazione dell’arte. Il periodo di tempo che va dagli anni Sessanta ai Settanta comprende un insieme di pratiche che fanno corrispondere la teoria critica alla demistificazione dell’azionismo precostituito. A competere con la nozione di teoria artistica è la progettualità critica della circostanzialità del gesto artistico.

L’Avanguardia si lega alla cultura dei media nel 1909, nel momento in cui esce su Le Figaro il primo manifesto futurista. Perderà la sua peculiarità di movimento avanguardista intorno al 1916, alla morte improvvisa di Boccioni. Nello stesso periodo Severini e Carrà cambiano orientamento politico. In quel periodo di tempo le figure chiave che rappresentano il movimento sono quelle di Boccioni, Balla e Carrà. I tre artisti sono influenzati dal divisionismo ma non hanno legami con Cézanne e con il Fauvismo. Anche lo stesso Cubismo non rientra nella linea avanguardista del primo Futurismo.

Incisiva è, in quegli anni, l’influenza della fotografia. Cogliere il movimento della figura nelle arti plastiche dà alla visione un ruolo diverso dal semplice rilevare la somiglianza con il mondo rappresentato. Muybridge e Marey sono i primi rappresentanti dell’integrazione tra il mondo della pittura e la pratica fotografica. Alcune opere di Balla sono il risultato di un’osservazione profonda della mimesi esistente tra la fotografia e le arti plastiche. La ripetizione del movimento degli esseri viventi e della natura si manifesta non solo nella pittura paesaggistica ma anche nella scrittura. La tela diventa un luogo di esperienze fonetiche, del linguaggio in forma di onomatopee. Le sensazioni suscitate dalla tela non separano la realtà dall’arte: il senso del presente è alla base della poetica del Futurismo, negli anni in cui l’avanguardia coincide con il rifiuto del passato.

Al cambiamento di una visione, da rappresentativa a molteplice, di cui sono portatrici le arti plastiche, corrisponde una collisione tra le diverse sostanze dell’espressione. Senza toccare i limiti della tecnica che si avrà alla fine delle avanguardie, per esempio con la Pop art, il sovvertimento dell’ordine assume la forma di fenomeno sociale esteso e non chiuso in una nicchia. Picasso mette in pratica la prima mossa decisiva nei confronti della risposta alla guerra e fa della sua arte un intero movimento storico e non solo una forma espressiva. Capovolgendo le figure sociali e i suoi ruoli, come quello della donna che diventa parte integrante e soggetto privilegiato delle opere, il realismo dell’arte assume forma metariflessiva. Il simbolico diventa un mondo di allegorie, l’incarnazione di uno slittamento di senso rispetto ai risultati distruttivi del sociale.

La disgiunzione degli apparati percettivi è tipica delle opere picassiane. La pittura non mira a rendere solo la vista ma sensi diversi, come quello tattile che va disgiunto dalla percezione visiva abituale. Le opere diventano denaturalizzanti, al fine di fare da cartina tornasole per l’osservatore e riportarlo dalla distrazione all’osservazione in sé, senza dissociazioni psicologiche.

3. Il Surrealismo

Il motivo principale del Surrealismo è la risoluzione del rapporto tra il sogno e la realtà, nel quale credono di poter realizzare la loro produzione artistica. Breton, nel Manifesto del 1924, espande le ragioni della sua ricerca alla filosofia e alle sensazioni. La storia è analizzata come se ci fossero legami diretti con il soggetto, mentre la funzione del sogno nasce dall’inglobarsi del senso storico in quello umano. Tale legame con la psicologia segna la crisi del sistema precedente e prefigura la necessità di un’epifania dell’arte. Il fine della scrittura surrealista non è quello di arginare la specificità dell’arte ma di soggettivizzarla. A essere escluso dal gioco dell’arte non è l’uomo comune e neanche il lavoratore delle fabbriche. Al contrario del passato, nel Dadaismo, per esempio, è incisiva la manipolazione stessa dell’imprevisto nella quotidianità.

Ubu Re è il primo accenno nella direzione dell’unione tra il sogno e la realtà attraverso la crudezza dei caratteri e dei personaggi. Non esiste alcuna contraddizione tra le due costanti della storia: l’idealizzazione riguarda il passato dell’arte. Jarry anticipa il dadaismo con la cosiddetta scienza delle soluzioni immaginarie, denominata “patafisica” dallo stesso autore. Gli eroi non sono uomini speciali, non fanno niente di straordinario. Al contrario, sono gretti e incapaci di cogliere le differenze tra passato e presente, tra causa e effetto. Il dramma portato in scena dopo un lungo periodo di stesure, dalla prima pubblicazione del 1896 alla versione definitiva del 1900, è inteso come un viaggio mentale, interno, dei protagonisti. I dialoghi, nei cinque atti, non stentano a mostrare insulti e irriverenze consumate tra le parti.

La separazione tra l’oggetto immaginario e l’oggetto concreto tipica del passato, non è considerata centrale nel Surrealismo. Quello che si vede può essere il sogno, creando dimensioni che da un lato ricalcano pienamente l’attrazione per l’ignoto, dall’altro consegnano la quotidianità meno raffinata. A essere posto in risalto è un numero ridotto di oggetti rispetto alla molteplicità reale, assumendo una sintatticità che fa della metafora e della metonimia i caratteri principali delle arti plastiche. Le macchine immaginarie e i congegni che da usuali diventano parti di un mondo in cui non sono utili a espletare le funzioni per le quali sono state costruite, sono simbolo dell’ostilità. Una serie di emozioni che non possono essere racchiuse, nella quotidianità, in pochi oggetti, possono essere riprodotte in un quadro come in un readymade.

La spaccatura nel Surrealismo, rilevata da Bataille, nel 1930, ha come conseguenza la costituzione di altri movimenti come esempi di un mondo in continuo mutamento. Da un lato l’arte informale e dall’altro l’Espressionismo astratto mettono in gioco, sotto una nuova veste, gli elementi compositivi delle arti.

4. L’informe nelle arti plastiche

Duchamp pone la simultaneità come dimensione temporale che trasforma l’immediatezza dell’immagine in suggestioni utili a sintetizzare la realtà percepita. Nei Rotorilievi, per esempio, l’immagine lavora insieme alla visione in modo inconsueto, puntando al movimento dell’occhio e non soltanto all’analisi base di linee e di colori.

Lo studio della visione, sulla quale Duchamp fonda le sue opere, oltre a essere metariflessivo è metaespressivo. L’idea di un’unica interpretazione da attribuire al quadro o al readymade è ormai lontana e senza significato. Tale spazio di sospensione è privo di una forma statica e di riferimento nella materia. La forza semantica della funzione simbolica, evidente nel Grande vetro, si ritrova anche nei Rotorilievi come cromie dimensionali. Lo stesso artista descrive il processo di costruzione come essenza stessa delle opere. Gli schizzi preparatori sono veri e propri studi della geometria, di linee e di superfici, rispetto alla prospettiva della vista e alle prospettive formali.

Allontanando il sistema strutturalista in sé da quello figurale, si risolve il diverbio tra la logica della realtà e quella del sogno. Quest’ultimo, a partire dall’analisi surrealista, diventa parte stessa del sistema che porta alla costituzione del significato. Ernst fa, in modo simile a quello dei macchinari di Duchamp, studi sugli oggetti immaginari, come nel caso di Piccola macchina autocostruita, inserendo una struttura innovativa e utile solo all’immaginazione. La sua realizzabilità logica è in ogni caso evidente: sarebbe possibile utilizzarla in modi diversi da un macchinario per le prime necessità. Klee mostra la necessità di mediare, attraverso forme complesse, il dato immediato delle immagini. Tale superamento della contingenza permette di creare un insieme non strutturato ma sistematico di un mondo intermedio, come demiurgo tra la realtà e il sogno.

La cura degli oggetti come dimensioni potenzialmente onnicomprensive della realtà, è resa nell’arte informale come compensazione storica al ritiro del Surrealismo dalla scena. Il silenzio di Breton rispetto agli sviluppi del movimento artistico e lo scoppio della guerra porta all’Espressionismo e alle sue diverse forme. L’aumento dell’astrazione attraverso la scomposizione degli spazi, a fondamento dell’arte, è il simbolo del gesto compiuto dall’artista. Con risultati simili a quello Kandiskijano, con lo studio del colore e delle forme, l’Espressionismo astratto completa l’integrazione tra l’immagine e il corpo nel mondo.

5. Il Situazionismo e gli happening

La critica serrata alla realtà come forma di dipendenza allo stato, si ripercuote nell’arte come in ogni altro ambito d’azione dei situazionisti. La sensibilità all’immateriale, sulla tela o nella società, ancora non esplicita nella prima Avanguardia, ora si manifesta come fine ultimo dell’arte. Nessuna sintesi a priori, né un’immagine ultima da definire attraverso l’arte. L’unicum non è in alcun modo del tutto realizzato e, similmente al Futurismo, non è nel passato né all’interno del potere precostituito.

Il primo passo verso la rivoluzione postmoderna è nel risalire alle radici della funzione dell’arte. La quotidianità nega il contrasto tra il presente e il desiderio di riflessione. Come si era affermato nel Dadaismo, il piano estetico in sé è irrecuperabile e quasi privo di senso. Debord ne delinea il cammino attraverso lo slittamento verso il senso dello spettacolo. A privarsi di uno spazio sicuro, come quello espositivo, è l’artista che comprende il senso del lavoro sulla propria vita. La prima critica è volta a separare l’ideologia dalla realtà, in modo da fare dei valori sociali un’ombra dell’arte e non il fine ultimo dell’opera. In un certo senso la cultura non è altro che un modo di organizzare la vita stessa e di conseguenza l’arte può sia mostrarne i pregi e i difetti rispetto alla persona che modificarne le dimensioni attraverso un incremento di senso. Malgrado possa essere considerata un’utopia, la morale del Situazionismo è un tutt’uno con la condizione dei lavoratori e in particolare dei proletari.

Lo sperimentalismo in atto nell’Internazionale Situazionista è il primo gradino del percorso che porterà al Postmoderno e alla chiave di lettura del presente anche dal punto di vista dell’arte e della letteratura. Con la Neoavanguardia si costruisce un vero e proprio filo rosso che congiunge il lavoro artistico con le richieste della società. Il gesto artistico perde la necessità di una trasformazione che abbia come fine la tela e diventa della stessa immaterialità della vita. Tale configurazione è quella che farà apparire l’happening e la ragione ultima della ripetizione complessa e sempre unica di ciascun evento spettacolare.

La caratteristica principale è l’integrazione con la vita quotidiana. Un esempio è Il Negozio di Oldenberg, un allestimento che nel suo stesso prendere forma è l’opera, essendo pubblico, in un luogo di vita condivisa e non distante dal pubblico. L’azione di inserimento dell’opera non prevede più lo spostamento in un luogo artificiale e predisposto alla messa in scena, bensì il contrario. L’opera è tale se chi pensa di usufruire dell’opera continua la sua strada abituale, camminando in un luogo simile a quello in cui acquista o passa semplicemente per raggiungere luoghi conosciuti. Altri happening, come quelli del Ray Gun Theater sono interrelati alla realtà architettonica, in alcuni casi utilizzando parcheggi e le stesse automobili di uso comune come si evince in Cage e nei suoi happening.

6. L’Espressionismo astratto e la Pop Art

Jasper Johns e Robert Rauschenberg sono i precursori della Pop Art. Il primo elemento evidente è il distacco dall’Espressionismo astratto. Al contrario dell’impeto creativo sintetizzato nell’arte di Pollock, come evidenzia la tecnica pittorica del dripping e la grande quantità di spazio e di tela utilizzati, la Pop Art ricuce le cicatrici del mondo seriale della produzione, utilizzandone i mezzi. La ripetizione, considerata come tema, è catturata nelle serigrafie, diventando la modalità stessa di espressione. Utilizzando lo spazio comune, come la città stessa, Warhol fa vera satira sociale, come nel caso di I tredici uomini più ricercati. I venticinque pannelli riposti sulla facciata dello State Pavilion per la World’s Fair di New York del 1964, furono considerati inaccettabili dai governanti del periodo. L’artista diventa la forza del popolo stesso, azzerando l’idea che sia al servizio del potere economico. I rappresentanti principali della Pop Art, tra i quali si distinguono Rosenquist, Hamilton, Ruscha, Richter e Polke, insieme a Warhol, perdono completamente il legame con l’idea di riproduzione e legano la propria arte all’idea di ricomposizione. In tal senso gli Espressionisti astratti come Morris precorrono il proponimento della Pop Art, attraverso la cosiddetta Anti form. Tale teoria permette di contrastare la Gestalt e la figura come risultato assoluto dell’azione artistica. Il peso del corpo di Pollock, spesso imbragato al soffitto per gestire il colore, incide sulla stesura del disegno sulla superficie, mentre le forme sono tracce del suo stesso movimento. L’uomo che compie il gesto è il vero protagonista del quadro, le sue tracce sono l’opera.

Roy Lichtenstein, accusato spesso di non essere all’altezza dell’arte, si pone, al pari di Wharol, anche se in maniera indipendente, il fine di fare dei fumetti e della pubblicità riflessioni atte a rendere l’arte utile al popolo. La funzione primaria non è quella di differenziare l’azione dell’artista da quella del cittadino ma di avvicinare attraverso la riproduzione originale di disegni diffusi alla metaforicità che è propria di ogni opera d’arte. La cultura dei mass media non collide ma diventa omogenea o almeno mira a avvicinare lo spettatore, proponendo un terreno che non intimorisca né spaventi per la diversità.

Un esempio è il Braccio di Ferro reso con le tecniche classiche di olio su tela su una superficie estesa, oltre un metro in larghezza e altezza, da un lato personalizzando le immagini in commercio nel fumetto, dall’altro raccontando un messaggio in un’unica azione.

La mediazione artistica avviene attraverso gli strumenti mediatici presenti e quotidiani, senza oltrepassare l’immaginario collettivo ma trasmettendo segnali sfumati. La variazione rispetto all’immagine comune è sempre lieve e non rinnega le operazioni di marketing sociale ma ne analizza la direzione del significato. L’operazione di ricomposizione e di adattabilità al piano classico di lavoro, come la tela, riconduce al moderno senza riproporne la fruibilità. L’idea, a prima vista poco sensibile all’autoaffermazione dell’artista, nel tempo diventa specchio del quotidiano, come se il contesto umano deformato dai media fosse accettato dell’arte in toto. Un disegno che riproduce un cartone animato in alcuni aspetti diventa coerente al mondo ipotizzato dal produttore senza confermarne completamente la necessità.

7. L’Esistenzialismo, Fluxus e l’Azionismo

Sulla scia della rappresentazione onirica del Surrealismo gli esistenzialisti, tra i quali emergono Bacon, Dubuffet, Giacometti e de Kooning rispondono alla guerra fredda con un linguaggio innovativo. Le figure umane perdono i tratti della continuità e dell’omogeneità fino a diventare trasfigurati.

Nella scultura di Giacometti le figure stilizzate sono pura verticalità, come a voler separare l’uomo dalla terra. I ritratti di Bacon, la maggior parte dei quali sono su fondo nero, risaltano con forme che appaiono prive di carne e di pelle, quasi spettrali. Tale incentivazione alla deformazione si ritrova nelle opere di de Kooning, per esempio in Donna: ridurre alle ossature, alle linee guida dei corpi la figura femminile riporta alla ripetizione e alla serialità. La sopraffazione della violenza priva l’uomo dell’inconscio, annullandone il lato personale, fino a farne un fantoccio. L’artista perde la sua funzione rivelatrice di un universo possibile, parlando di una realtà frantumata e di un’umanità dispersa.

Nello stesso periodo in Germania si sviluppa il movimento Fluxus, dopo il parallelo fallimento del Minimalismo di Newman negli Stati Uniti e il Nuovo Realismo europeo. Maciunas propone l’idea del flusso indiscriminato e inarrestabile, allontanandosi dall’Espressionismo astratto. Nam June Paik riporta in vita il lavoro del corpo dell’artista come parte integrante dell’opera. Un tentativo di collocare il soggetto in primo piano, di reificarlo per non dimenticarne l’importanza, mostrando l’insostituibilità di ciascuno.

L’Azionismo viennese è l’ultimo gradino che, parallelamente all’Action painting, costituisce la fase precedente allo sviluppo da parte di Bürger, della Teoria dell’Avanguardia. Il gruppo di artisti dell’Azionismo abolisce la tela per concentrarsi sulla dimensione performativa. Il ritorno alla realtà umana abbraccia completamente la visione postmoderna che è preannunciata dal richiamo continuo alla totalità dell’artista.

La forza degli artisti dell’Azionismo è quella di uno studio profondo sulla psiche e della forte influenza che hanno le teorie psicanalitiche del periodo. Cade in modo evidente il richiamo alla rappresentazione come forma altra, sostituibile alla quotidianità. La struttura dell’inconscio non è sintetizzabile attraverso le forme classiche. Allo stesso modo l’artista non può esimersi dalla presenza nell’opera e dal contrastare la stabilità della tela, attraverso il proprio movimento, continuo e privo di distacco dal pubblico.

Prima della decostruzione tipica del Postmodernismo degli anni Ottanta, l’attenzione degli artisti è sulla possibilità di una ricongiunzione dell’arte con l’uomo come valore. L’oggetto, visto come risultato fruibile, perde rilevanza, mentre è la persona a incarnare e a costituire l’opera.

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