Analisi effettuate nei fiumi e nei depuratori del territorio lombardo hanno svelato un massiccio uso di stupefacenti che supera tranquillamente i valori delle stime del loro consumo a cui facevano riferimento i dati precedenti.
I dati ricavati dall’Istituto Mario Negri tramite le analisi delle acque del depuratore di Nosedo, dove confluiscono e vengono raccolti gli scarichi di Milano, mostrano tracce abbondanti di cocaina, eroina e cannabis. I nuovi valori dimostrano che ogni anno nella sola città di Milano vengono consumati almeno 330 chilogrammi di cocaina, che è una quantità pari al doppio rispetto alle statistiche nazionali. Cioè è stato trovato un residuo giornaliero medio di 0,5 chilogrammi di benzoylecgonina, residuo metabolico della cocaina rintracciabile nelle urine, 200 grammi di cocaina, 40 grammi di morfina (derivato dell’eroina) e 25 grammi di Tch-Cook (residuo della cannabis).
Le quantità di sostanze psicotrope sono state valutate nell’ambito del progetto che è stato avviato nel gennaio 2011 dalla Fondazione AquaLab, in collaborazione con l’università degli Studi di Milano e Milano Bicocca, e che prevede la depurazione delle acque dei fiumi Po, Arno, Lambro e Olona dalle sostanze inquinanti in essi presenti. La soluzione all’inquinamento è stato individuato nell’uso di un bivalve filtratore d’acqua dolce, la Dreissena polymorpha, che è mollusco con la straordinaria capacità di filtrare le sostanze inquinanti (composti farmaceutici, metalli pesanti, droghe) accumulandole nei suoi tessuti. Al termine del suo ciclo vitale, il bivalve viene poi rimosso e con esso anche il carico inquinante accumulato.
Purtroppo, oltre ai residui di droghe, in queste acque sono presenti svariate tracce di farmaci di uso comune, di prodotti per l’igiene personale, e soprattutto di vari metalli pesanti. Non tutti i residui, sebbene in quantità inferiori ai limiti fissati dalla legge, vengono comunque intercettati dagli impianti di depurazione convenzionali e perciò rimangono nelle acque reflue, utilizzate per l’irrigazione dei campi. L’accumulo di queste sostanze, anche a bassissime concentrazioni, risulta nel tempo dannoso per l’ambiente e la salute.