Premio Nobel per la Pace a due donne africane e a una donna araba

Quest’anno il Nobel per la Pace è andato a tre donne Per la loro lotta non violenta in favore della sicurezza delle donne e del loro diritto a partecipare al processo di pace’’. Questa la motivazione addotta dal Presidente del Comitato Nobel, Thorbjoern Jagland.
Tale riconoscimento è avvenuto ad un mese dalla morte di Wangari Maatha, prima donna africana, nello specifico keniota, ad aver vinto il Nobel per la pace.

Le tre donne in questione sono la Presidente della Liberia Ellen Johnson Sirleaf, la connazionale Leymah Gbowee protagonista di una mobilitazione femminile contro la guerra civile nel suo Paese e all’attivista yemenita per la democrazia Tawakkul Karman.

Un comunicato diffuso dal Quirinale si è così espresso nei confronti del conferimento del premio: “La scelta di premiare tre donne direttamente impegnate nel rinnovamento democratico nei rispettivi Paesi riconosce la straordinaria originalità del contributo femminile all’avanzamento del progresso civile e sociale nel mondo contemporaneo. Questo Premio Nobel sancisce al tempo stesso il cammino del continente africano verso la pace e lo sviluppo e rafforza le spontanee domande di libertà, partecipazione e democrazia che si levano da numerosi Paesi del Mediterraneo e che non possono più essere disattese”.

Leymah Gbowee è nata nel 1972, è una militante pacifista e nonviolenta e ha contribuito a far cessare le violente guerre civili che hanno martoriato la Libera negli ultimi anni. È soprannominata “rossa” a causa della sua carnagione chiara e nella sua autobiografia, “Mighty Be Our Powers: How Sisterhood, Prayer, and Sex Changed a Nation at War”, afferma che “La forza dei nostri poteri: come le comunità di donne, la preghiera e il sesso hanno cambiato una nazione in guerra”. Nel suo paese è soprannominata la “guerriera della pace” e tra le iniziative più importanti da lei intraprese va ricordato “lo sciopero del sesso”, atto che costrinse il regime di Charles Taylor ad ammetterla al tavolo delle trattative per la pace”.

Ellen Johnson Sirleaf è la presidente della Libera e ricopre questo incarico dal 2005. È soprannominata la “Signora di ferro” ed è attivamente impegnata nella ricostruzione del suo paese a seguito delle guerre civili che lo hanno distrutto. Ha ottenuto un Master of Public Administration presso l’Università Harvard nel 1971 ed è andata in esilio a Nairobi nel 1980 dopo il rovesciamento dell’allora Presidente William Torbert. È rientrata nel suo paese nel 1985 per partecipare alle elezioni del Senato della Liberia. Quando, però, ha pubblicamente accusato il regime militare è stata condannata a 10 anni di prigione. Rilasciata dopo poco tempo, si è trasferita a Washington ed è tornata in Liberia solo nel 1997 nel ruolo di economista, lavorando per la Banca Mondiale e per la Citibank in Africa.
Dopo la sua vittoria alle elezioni del 2005, Johnson-Sirleaf ha pronuncia uno storico discorso alle camere riunite del Congresso degli Stati Uniti, chiedendo il supporto americano per aiutare il suo Paese a “divenire un faro splendente, un esempio per l’Africa e per il mondo di cosa può ottenere l’amore per la libertà.”

Tawakkol Karman ha 32 anni ed è un’attivista per i diritti umani, divenuta in poco tempo la leader della protesta femminile contro il regime yemenita. Milita nel partito islamico e conservatore Al Islah Reporter ed è fondatrice dell’associazione “Giornaliste senza catene”. 32 sono anche gli anni del potere del presidente yemenita Ali Abdallah Saleh. Nel gennaio 2011 era stata arrestata dalle autorità yemenite, che hanno dovuto presto rilasciarla grazie alla pressione delle manifestazioni di migliaia di persone in suo sostegno. Ha dedicato il suo premio Nobel alla Primavera Araba e ha dichiarato che il riconoscimento rappresenta “una vittoria per la rivoluzione”dello Yemen.