Carmela
Quando nacque suo figlio la vita le sembrò che assumesse un aspetto e un respiro nuovo . In quel letto d’ospedale il bambino era tra le sue braccia e lui era lì accanto a lei a guardarli incantato incapace di parlare,finalmente rilassato dalla tensione delle ore passate ad aspettare con il fiato sospeso, stregato da quel corpicino inerme.
“E’ il nostro bambino”ripeteva incredulo e la guardava quasi a chiedere conferma per un avvenimento che lo lasciava sconcertato e che gli appariva come una scoperta che si rinnovava ad ogni sguardo.
“Sì,tesoro”gli rispondeva lei paziente. Lui le stringeva la mano tanto forte che dovette ritrarla. “Mi fai male”gli disse stuzzicandolo “povero amore mio,così spaventato. Ma non sarai stato tu a partorire?”.
Lui le stritolava talmente la mano anche durante il travaglio e il parto a cui aveva voluto assistere che se lei non fosse stata impegnata a mettere al mondo il loro bambino avrebbe sentito l’impulso di proteggerlo.
Avevano imparato ad amarsi senza sforzo. Nessuno dei due aveva avuto bisogno di insegnare all’altro un sentimento così profondo,palpabile e vero. Andavano a scuola insieme,uscivano e sempre insieme dividevano tutto dalle merende,nel tempo i dubbi esistenziali,le paure,i segreti,le emozioni. Lentamente la complicità ha assunto caratteristiche diverse ed è diventata attenzione profonda, poi intenso affetto poi amore come il normale epilogo di un sentimento presente da sempre. Nessun altro avrebbe potuto occupare lo stesso spazio e lo stesso tempo perché sarebbe apparso davvero innaturale e un giorno come un altro distesi a chiacchierare,ridere e mangiucchiare sulla collina le loro mani si ritrovarono intrecciate e lentamente ad accarezzarsi i corpi sempre più nudi.
La spontaneità e la delicatezza di ogni gesto rendeva il sentimento fermo e contemporaneamente sempre in movimento,straordinario nella quotidianità,rassicurante e insieme travolgente, a volte mormorato altre urlato al mondo che potesse condividerne la gioia e persino imparare, quando tutt’intorno lo sfacelo prodotto dall’odio li faceva rabbrividire. Era l’amore ad unirli:quelli che pochi conoscono e a cui tutti aspirano.
In primavera arredarono casa nel e con il gusto di inserirvi l’ansia e la frenesia di scegliere insieme,provando a contrattare quelle che apparivano dissonanze insormontabili ma con la voglia di trasferire nelle cose l’allegria e l’armonia che sentivano nell’anima. Era una casa piccola ma con grandi aperture per farvi penetrare luce e calore,linfa vitale non solo per il corpo. Intorno tanto spazio verde quanto basta a riempirsi gli occhi e lo spirito e ad impedire ad inopportuni rumori di disturbare la quiete di un sentimento ardente, che si alimentava soprattutto di se stesso e della propria esuberanza. Poco lontano la spiaggia,per poter assaporare il piacere di affondare i piedi nudi nella sabbia e poi nell’acqua gelida del mare a cui affidare e riprendersi il ben-essere.
Erano diversi:lui esperto di meccanica,lei psicologa in perenne attesa di un lavoro. Lui trascorreva ore a pescare,lei che la considerava un’attività noiosa ne condivideva il piacere restandogli vicina per ore, a leggere valanghe di libri che lui neanche guardava. Lui intrigato dal funzionamento di qualsiasi congegno,lei dell’animo umano. Lui in piedi fin oltre la notte inoltrata e come conseguenza ancora a letto a mezzogiorno,lei già nelle braccia di Morfeo prima di mezzanotte e alle prime luci dell’alba già affaccendata in mille attività, perché troppo pignola con il tempo della vita “che diceva è sempre così fugace,non bisogna sprecarlo”. Lei tanto ordinata da diventare maniacale,lui incapace persino di chiudere un cassetto dopo aver preso quanto gli serviva.
“Sei il solito pasticcione,indolente,cocco di mamma,troppo abituato ad essere servito”gli diceva incazzata. “E’ tutta colpa delle donne se voi diventate dei fannulloni scansafatiche,incapaci di fare qualsiasi cosa dentro casa e alla faccia dell’emancipazione noi protestiamo e investiamo energie ed enfasi per un cambiamento e una trasformazione nella gestione dei ruoli ma intanto siamo le vere responsabili di un fenomeno che resta inalterato nel tempo, rendendovi sempre più fiacchi,inconsistenti ed inefficienti,paradossalmente persino incolpevoli.”
Lui la ascoltava brontolare sorridendo, convinto della giustezza delle sue affermazioni talmente tanto da provare ad esserne coerente ma durava solo qualche giorno…. di nuovo si lasciava prendere senza reagire dalle abitudini,dal ritmo del quotidiano,dalla pura distrazione, continuando a lasciare dietro di sé veri disastri che nemmeno vedeva. Riusciva senza nessuno sforzo a tollerare panni da lavare sul pavimento,piatti nel lavandino, polvere sui mobili,fogli e libri sparsi sulla scrivania,ribadendo di non preoccuparsene troppo che lui nel suo caos viveva benissimo,che riusciva sempre a trovare ogni cosa gli servisse. Lei protestava ancora ma in realtà a tratti sembrava rassegnarsi e tutto riprendeva come sempre.
In tanta apparente dissomiglianza,insofferenza e incompatibilità giaceva un’armonia dettata dal sentimento puro in cui l’identità si costruiva sul rispetto,la complicità sull’affetto e la tolleranza della differenza equilibrata nel tempo in un’unione completa.
La familiarità acquisita li rendeva un insieme ben congegnato,in un bisogno incomprensibile e incontrollabile di conoscere il funzionamento delle cose e delle anime,insieme alla necessità esplicitata di condividerlo nella straordinaria alchimia che era l’amore.
Li accomunava la passione per il mare,per la grandezza e l’immensità dell’universo , i colori della natura,la benevolenza e il rispetto per le persone e trascorrevano ore a chiacchierare e ammirare le sfumature del rosso,dell’arancio o dell’indaco tra le nuvole di un tramonto che squarciava l’orizzonte e affondava nel mare,in un progressivo incendiarsi del cielo intanto che la notte prendeva il posto del giorno. Nel tempo avevano poi compreso l’ inutilità delle parole parlate a tutti i costi e per la sintonia raggiunta riuscivano a stare ore in silenzio, raccolti dall’assorbente beatifico clamore del monotono dondolio delle onde di una spiaggia d’inverno,in un atmosfera magica.
Si tenevano per mano e si abbracciavano mentre le guardavano andare e venire,andare e venire,andare e venire…miliardi di volte.
In altre occasioni lo stesso scenario era stato spettatore di accese e animate discussioni su questo o quell’argomento,dove la contrapposizione diventava persino insofferenza o rabbia e l’uno o l’altra tornava a casa furibondo e solo. Ma quant’anche a volte trascorressero ore o giorni senza parlarsi,inevitabilmente l’amore prendeva il sopravvento e si ritrovavano ancora insieme abbracciati in un vincolo ineludibile. Non amavano stare con gli altri e la condizione di eremiti l’avevano scelta insieme. “Due cuori e una capanna”per loro era il patto con tutti i rischi possibili ma preferibile alla stress prodotto dal caos.
Camminavano lentamente un giorno e d’un tratto lui emise un urlo,poi un rantolo e cadde pesantemente al suolo.
“Cos’hai?”gli gridò lei. “Che succede?Mio Dio,cosa c’è? Rispondimi,che hai?”.
Gli sorresse la testa per aiutarlo a parlare ma lui la guardava spaventato. Si portava le mani alla gola,mentre il respiro appariva sempre più affannoso. Lei si guardava intorno disperata alla ricerca di quel qualcuno che per tanto tempo aveva detestato ma che in quel momento “doveva” esserci.
“Aiuto,aiuto”gridava alle onde del mare che vanno e vengono,vanno e vengono,vanno e vengono allora inutilmente…
Lo scuoteva mentre provava a farlo rialzare invano,poi mentre gli accarezzava il viso bagnandolo delle sue lacrime richiedeva aiuto al silenzio di quella spiaggia d’inverno e all’immobilità di una solitudine scelta come liberazione dagli altri, non da quell’uomo che amava.
Gli occhi erano talmente pieni di lacrime che divennero appannati in quei minuti diventati un’eternità. Poi lui improvvisamente riprese a respirare meno affannosamente e regolarmente,mentre le guance man mano assunsero un colorito normale e il sorriso da smorfia divenne calore umano. Il singhiozzare di lei era incontenibile,scuotendole il corpo in maniera intermittente e toccò a lui consolarla.
“E’ tutto passato,tesoro”le disse con tono rilassato “Sto bene,vedi?non è niente”ma aveva chiaro che qualunque fosse stata la causa doveva chiarirla al più presto.
“Oh mio Dio,mio Dio”ripeteva lei piangendo e ridendo insieme per la gioia di potergli parlare,finalmente “Ma che diavolo è successo?Che cosa?”.
“Non lo so tesoro ma adesso va tutto bene,sta tranquilla è tutto passato. Sto bene. Sto bene.”.
Le accarezzava i capelli poi le asciugava le lacrime avvicinando il suo viso al suo per condividerne il dolore e la stringeva a sé sorridendo ma era veramente preoccupato.
Andarono da un medico il giorno dopo e dopo qualche indagine il problema fu identificato in tutta la sua crudezza:il malore sulla spiaggia della solitudine a cui non serviva nient’altro che due cuori e una capanna ebbe un terribile nome:cancro.
Ne aveva per mesi forse un anno, oppure sottoporsi alla chemioterapia e percorrere qualche tempo in più tra ospedali,cure e quant’altro senza nessuna garanzia di successo. Lui decise di non voler inquinare ancora più di quanto non fosse già l’armonia di un amore perfetto e scelse di vivere da vivo una vita preventivata come breve, al posto di una più lunga da quasi vegetale. Scelse di godersi il tempo destinatogli chissà da chi e perché con la stessa identica intensità già vissuta,senza nulla togliere e provando a rimuovere il pensiero della fine. La sua vita era in quella donna e in quel bambino che lei conservava per lui come regalo per un tempo speso insieme amandosi con irruenza,spasmodicamente e sorreggendosi con la veemenza quasi violenza di un sentimento struggente e impietoso come la paura della morte.
Avevano già accumulato giorni meravigliosi e seppure con la rabbia di chi è impotente contro un destino ingiusto e impietoso,provavano a consolarsi ritenendosi fortunati per quell’amore che li univa tanto appassionatamente. Viaggiarono,ritenendo di dover aggiungere altri luoghi al ricordo oltre la loro meravigliosa spiaggia, perché sono i ricordi che rendono le persone vive e lui sarebbe rinato ogni volta che, in una sorta di pellegrinaggio, lei vi sarebbe ritornata anche solo con il pensiero. Lo sapevano entrambi. Ridevano di ogni cosa,con la forza che la paura e la disperazione possono produrre ma a volte,soltanto a volte interrompevano l’accordo non detto di non parlarne mai e lo facevano in silenzio,con sguardi angosciosi e si abbracciavano con tanta energia da diventare un solo corpo. Facevano l’amore piangendo, graffiandosi e urlando la loro collera verso quel Dio in cui avevano creduto,che avrebbe dovuto proteggerli,non ucciderli.
I giorni trascorrevano in una normalità forzata persino con le solite liti per una quotidianità concepita diversamente ma l’angoscia che il tempo a loro destinato non bastasse nemmeno a permettergli di abbracciare il loro bambino li tramortiva. Lui ne ascoltava la vita attraverso il pancione ormai tanto ingombrante da sembrare un grande pallone ,lei lo osservava con la tenerezza con cui avrebbe voluto avvolgerlo per sempre.
Il giorno del parto grazie a Dio arrivò e il bambino era bellissimo. Lui le si distese accanto pago di averlo potuto fare e con quanta delicatezza fu capace accarezzò quell’esserino piccolo disteso sul ventre di sua madre , parte anche di lui che in qualche modo gli avrebbe permesso di rimanere ancora vivo.
Ne condivise un tempo breve ma intenso e insieme lancinante.
“E’ la sua anima che mi accompagna in ogni giorno che passa”mi raccontò Carmela,ormai trasferitasi dai suoi genitori “non potrei farcela,altrimenti. La mia forza è lui,presente nell’aria che respiro e negli occhi del mio bambino”.
Io non potei fare altro che ascoltarla e offrirle quel ridicolo sussidio economico.