La ricerca ha fatto nuovi passi avanti nel campo delle cellule staminali e si prevede che all’incirca tra 5 anni o poco più potremo inziare ad assaggiare le prime produzioni di carni create in laboratorio (la shmeat come viene chiamato questo tipo di carne) e tantissime sarebbero le implicazioni socio culturali che ne seguirebbero come la naturale conseguenza. Molti sono coloro i quali sostengono il progetto e che lo considerano già una possibile soluzione alla fame nel mondo. Inoltre se la shmeat conquistasse anche solo una piccola fetta del mercato della carne di sicuro diminuirebbe considevolmente l’allevamento, lo sfruttamento e l’uccisione di milioni di animali.
Dopo aver prelevato le cellule staminali embrionali, per evitare che continuino nella loro divisione e differenziazione, si mettono appunto in un piatto di coltura contenente il brodo nutriente che consente loro di dividersi e replicarsi, senza tuttavia differenziarsi. Ed una volta sotto controllo, le cellule possono essere stimolate a specializzarsi nelle cellule desiderate con il metodo della differenziazione diretta. Le cellule staminali embrionali sono in grado di differenziarsi in un maggior numero di tipi di cellule rispetto alle cellule staminali adulte.
In passato per far crescere le cellule era necessario coltivarle in un brodo nutritivo e fortificante a base di sostanze animali, ma ora è stato sviluppato un nuovo terreno di coltura, il Cynobacteria hydrolysate. Ovviamente la ricerca ancora dovrà progredire perchè il procedimento è ancora lungo e laborioso, difatti per acquistare un hamburger artificiale servirebbero circa 300.000 euro.
Forte è l’appoggio che viene anche da parte degli animalisti. Difatti la Peta, una nota organizzazione animalista e pro-veganesimo, ha offerto 1 milione di dollari a chiunque trovi un modo per commercializzare le bistecche sintetiche entro il 2012. Inoltre, da uno studio effettuato dalle università di Oxford e Amsterdam, questo tipo di produzione di carne permetterebbe un risparmio del 45% dell’energia utilizzata in media negli allevamenti, permetterebbe di tagliare del 96% le emissioni di gas serra e di ridurre i terreni adibiti a pascolo.