L’Odissea è l’opera in cui sono rappresentati i principali prototipi femminili che popolano l’immanginario maschile.
Vediamo infatti Penelope, la brava moglie da lasciare a casa e da ritrovare, anche dopo 20 anni, assennata, graziosa e fedele.
Poi c’è Nausicaa, il sogno segreto dell’adolescenza perduta, l’innocenza e il candore che traspaiono da un corpo appena sbocciato.
E infine Circe, la fatalona seduttrice, l’amante sensuale e appassionata, la Maga che trasforma gli uomini, metaforicamente ma non troppo, in maiali….
Le incontra Ulisse, personaggio a tutto tondo, capace di essere contemporaneamente affettuoso marito, amante caliente e sogno proibito di una fanciulla in fiore.
Nel frattempo, Ulisse viaggia, conosce popoli e costumi, perché l’uomo non è nato “per vivere come bruto ma per seguire virtute e conoscenza”. E combatte, perché si sa, nell’uomo, anche il più pantofolaio, quello che si sparapanza per ore davanti alla Tv, sonnecchia un’indomita anima guerriera…
Non è dato a Penepole di fare un viaggetto, neanche un breve weekend nella Polis più vicina, né a Circe è concesso di preparare la marmellata né Nausicaa può desiderare di farsi una cultura, perché non è compito suo “seguire conoscenza”: nel caso fosse indispensabile, ci penserebbe lui, l’uomo taumaturgo e Pigmalione…
Ma perché, anche dopo secoli o millenni, non esiste una donna che possa essere considerata la versione femminile di Ulisse?